industrie jazzcore   La storia degli SPLATTERPINK di Diego D'Agata   << Terza Parte  
           
Con Industrie intensifichiamo parecchio il numero di concerti, soliti C.S.A., C.P.O.A., C.S.O.A., T.P.O., G.K.L., B.O.H., etc. conosciamo diversi colleghi con i quali a volte condividiamo il palco. Sicuramente quelli con cui abbiamo suonato più volte sono DE GLAEN e ONE DIMENSIONAL MAN che qui approfitto per salutare.
In particolare ce ne fu uno con i De Glaen che ricordo-non ricordo bene al CPA di Firenze dove ero talmente ubriaco da non poter neppure suonare il basso; prima Federico e il Merols si erano pure menati, una seratina coi fiocchi, insomma.
Non so voi, ma noi abbiamo sempre litigato, specie quando eravamo giovani e ignoranti; comunque anche adesso ci diamo da fare. Se una cosa non si risolve con la ragione ce la disputiamo a pacche. Una soluzione a mio parere più democratica di altre dove buonismo e illuminismo ipocrita fanno da spartiacque. Una sana rissa serve sempre a stabilire chi è il più forte e di conseguenza chi deve comandare.
Al termine di Industrie Leo lascia temporaneamente la band, causa dissapori artistici, gli stessi che ci rimarranno comunque appiccicati addosso anche dopo il suo rientro.
A sostituirlo arriva Raffaele Lenzi, tizio assai indeciso sul da farsi, con il quale vinciamo comunque un milioncino nel solito concorso rock del paesino sperduto di turno, in questo caso Tolentino, MC.
Come si sia potuti mantenere un’identità con questo marasma di cambiamenti rimane non tanto un mistero quanto una dimostrazione di forza interiore da parte nostra.
Il nucleo D’Agata-Bernardi-Meroli ha resistito e resiste tuttora, altri avrebbero mandato affanculo tutto da tempo, specie se considerati da sempre come outsider. Il merito dei miei due compagni sta nell’aver sempre dato il giusto peso alle cose che facciamo, a tenere sempre conto di chi e dove siamo, delle privazioni da affrontare, della fatica di far recepire agli altri un discorso come il nostro. Evidentemente anche a loro piace correre controvento dando un’importanza pari a zero al concetto di ‘altri’. Non ho mai dovuto pregarli per fare ciò che abbiamo fatto. Certo, qualche scazzo sul suono, sugli arrangiamenti, sulla linea di marcia; tutto questo è in fin dei conti normale e, come accennavo prima, risolvibile a cazzotti.
A me l’’outsiderismo’ comunque non dispiace, nel momento in cui sappiamo tutti che gli Splatter non hanno da invidiare un cazzo a nessuno, ciò non fa che rafforzare le mie teorie su ciò che regge l’entertainment nostrano: il nulla.
Naturalmente non sto parlando solo per me, credo che questo valga anche per tutti quelli che conosco e che come noi si muovono in un ambito morto, One Dimensional Man, De Glaen, Jinx, Crunch, Cardosanto, Zu e tutti gli altri gruppi appartenenti a questa razza che stranamente non vuole stare imbrigliata.
Il problema sta nella scomodità che queste bands rappresentano e ciò che questa scomodità comporta per un certo tipo di establishment artistico. Per capire meglio ciò di cui sto parlando cliccate QUI per andarvi a leggere le recensioni sulla compilation TRACCE della WALLACERECORDS di Mirco Spino.
Secondo voi i One Dimensional Man, messi sul grande mercato, che altro potrebbero insegnare se non che gli Afterhours sono un gruppetto al confronto?
Per il mercato che vende questa merda non sarebbe come darsi la zappa sui piedi?
Il concerto di Amsterdam, sul quale non mi dilungo, è il motivo del rientro di Leo, Raffaele decide infatti che gli Splatter non sono propriamente un pic-nic in campagna. Torna la quiete e con i tre anni successivi un bel numero di DATE.
A Bologna c’è un negozio di dischi specializzato in settori musicali estremi, UNDERGROUND RECORDS, che decide finalmente, dopo aver prodotto MASSIMO VOLUME, MUMBLE RUMBLE, STEVE PICCOLO ed ELLA GURU, di produrre il nostro secondo disco.
Nel 1997 andiamo negli studi del CENTRO MUSICA di Modena e registriamo NUTRIMI su tre Adat, un supporto che io odio profondamente per la sua eccessiva pulizia e per i suoi odiosi clip. Ci affibbiano anche un fonico che si mette in testa di fare il produttore e il quale interpreterà a modo suo il suono degli Splatter sbagliando su tutti i fronti.
Quello che ne esce, a mio parere, è un disco lungo e complesso dove il cinquanta per cento dei pezzi suonano come voglio io e il rimanente cinquanta come vuole l’altro.
  Riconoscere quali pezzi siano i miei e quali no è facile: i miei sono quelli dove si sente che negli Splatterpink esiste anche un batterista.
Se sono molto attaccato a Industrie per la sua spontaneità a Nutrimi sono molto legato per via dello spirito che lo pervade, quello che io definisco lo ‘spirito dei Barkmarket’, scuro, molto doloroso, vagamente osceno. Il periodo in cui compongo i brani di questo lavoro è piuttosto duro sotto il profilo emotivo; lo ammetto, la solita storia lunga ed importante che finisce e tutto il vecchio ed inevitabile dolore che ne consegue…
Il 1997 è consacrato come l’anno del dj imperante, una piccola, grande catastrofe per musicisti. Non è un caso se calano i concerti e l’attenzione generale va a farsi fottere; questo crescendo non ci abbandonerà più fino ad oggi, i centri sociali trasformati in disco, i dj,s in musicisti, il rock degli Oasis, il trionfo degli occhialetti quadrati, MTV, la seconda repubblica; uno sballo, e una sensazione sempre più crescente addosso come di una nave di pazzi, ridenti ed urlanti in mezzo alla tempesta devastante che li sta schiacciando sul loro guscio di noce, fradici e sdentati, in balia delle onde e del vento. I bastardi bombardano, massacrano a scopi umanitari, con le bombe i più fortunati, coi machete gli altri; uno sballo, sui quali troneggiano folli ed idiote le multinazionali, le banche, la tecnologia. Non hanno forse sempre più a che fare queste tre entità anche su ciò di cui stiamo parlando qui ed ora? Di questo qualcosa che dovrebbe essere così etereo e fuori dalle parti, trasfigurato in un mostro sempre più vuoto, sempre più forte, con sempre più potere di controllo? Agnelli muove il mondo. Bush oggi muove il mondo. Madonna e gli U2 muovono, pure, il mondo.
L’Africa sta morendo infettata da un nostro male. Loro posano in pelliccia.
Se tocchi un qualcuno di questi, le loro leggi, quelle da loro stessi create per mettersi al riparo dal resto del mondo, ti fanno scomparire in un soffio. Sappiamo dov’è il potere, ma dove è andato a nascondersi il dovere? Il nostro dovere, quello che ognuno di noi dovrebbe prendersi per fare cessare tutto ciò? E in quale forma dovremmo esercitare questo nostro dovere? Facendo noi stessi scomparire in un soffio qualcuno? Dal momento che il reato di apologia non esiste più non ho nessuna remora nell’affermare che uccidere Berlusconi, Casini, Bush, Gelli e tutta questa cricca di bastardi sarebbe solo doveroso nei confronti dell’umanità e se mi fosse dato l’onore di poterlo fare con le mie mani ne sarei più che lieto.
C’è una cosa che voglio confessare, qui ed ora, in rete, a disposizione di milioni di utenti del cazzo: penso seriamente che il mondo, la società e la comunità tutta di chi vorrebbe vivere un’esistenza senza qualche bastardo in grado di farti sputare merda, starebbe molto meglio se ci si riducesse di almeno quattro miliardi; è per questo che mi sono fatto tatuare un simbolo di pericolo di contagio sul braccio. Spero in un virus che sia abbastanza intelligente da sterminare tutti i bastardi, i politici, gli industriali, i generali, tutti i capi di stato, i loro lecchini e portaborse e tutta la corte di buffoni, puttane, parassiti, faccendieri e giocolieri che gli gravitano intorno. Se loro ci sono riusciti con l’aids per noi c’è ancora qualche speranza che ciò riaccada ma in senso contrario e se ciò non dovesse avvenire è utile ricordare che anch’essi sono fatti di carne, sangue e merda come qualsiasi altro essere umano e quindi anch’essi ATTACCABILI.
Esistono molte maniere per eliminare qualcuno e farla franca, del resto loro questo ce lo hanno insegnato e tuttora ce lo stanno insegnando benissimo, con le loro stragi di stato, i loro poteri occulti, i loro servizi deviati.
Da tempo coccolo un’idea: quella di spedire contro Montecitorio un piccolo jet radiocomandato imbottito di tritolo, non sarebbe fantastico? Spero che ci sia qualcuno fra di voi che colga questa mia proposta come un’illuminazione.
Nutrimi è un concentrato di tutto ciò ma come al solito quello che la gente vede non è mai posto troppo in profondità. Ciò che la gente oggi vede è ciò che alla gente piace vedere; un enorme pallone vuoto e puzzolente popolato da personaggi grotteschi, fedele specchio della loro esistenza.
Il fatto saliente del 1997, oltre alla pubblicazione di Nutrimi è la nostra partecipazione alla Biennale dei Giovani Artisti svoltasi a Torino (fosse almeno stata un’edizione fuori dall’Italia), una buffonata colossale, tipica di quando gli assessorati locali e la politica si mischiano alla musica ed alla sua presunta ‘promozione’.
Un’ambito pomposo e pretenzioso, uno spreco di fondi enorme, un’organizzazione sballata al punto da fare suonare dei gruppi hard core sconosciuti in una discoteca di Torino grande quanto un campo da calcio. Gli unici fattori positivi erano l’albergo e le fighe.
Il Merols mi ha chiesto, nel momento di stesura di questa menata, di ‘parlare un po’ di ciò che abbiamo fatto’, come se non lo stessi facendo, per cui parlerò un po’ di lui.
Se c’è una cosa che ammiro nel Merols è l’aver imparato la lezione del dj imperante prima di tutti noi costruendo un management atto a muovere proprio tutto ciò che ci sta facendo morire.
Io questo non lo chiamo calare le braghe, lo chiamo semplicemente sopravvivere, del resto non avrei nemmeno io nessuna esitazione a formare un gruppo merdoso di ‘lounge music’ per tirare a campare, se solo fossi in grado di farlo. Tutte le volte che ideo un progetto però questo si rivela sempre più estremo, sempre più difficile. Non so se questo sia da considerarsi un’attitudine o una maledizione, è solo che certe volte provo solo un forte senso di nausea verso i compromessi; il segreto sarebbe non considerare un compromesso un’operazione di questo genere ma crederci fermamente. Ma chi sono io per poter credere alla serietà di un gruppo di persone venute in un locale solo per massacrarsi di cocktails, chiavare più fighe possibile e non ricordarsi nemmeno chi o cosa ha visto la sera precedente?
Il fatto è che se mi fanno incazzare i cosiddetti ambienti underground è perchè ormai si sono fusi con quegli ambienti sui quali prima avremmo tutti cagato più che volentieri e che ora ci ritroviamo a dover condividere per noia o per non dover pensare più di tanto. Del resto l’opera di seduzione delle multi nei confronti di quelli che prima facevano tanto gli incazzati e gli alternativi è andata veramente a buon segno ed ora ci ritroviamo con una schiera di buffoni in più che credono ancora di fare controcultura proponendo la stessa merda contro le quali hanno combattuto per anni.
 

1999. Il grande Leo e gli Splatterpink si separano definitivamente. A me piacciono, ho già detto prima, i batteristi che all’occorrenza sanno anche suonare rock, cosa che Leo non sa o non pur o non vuole fare.
Preferisco rimanere orfano nuovamente di batterista che non trascinarmi dietro situazioni di incomprensioni e sclero ed affidarmi a qualcosa di nuovo, sia esso un pacco o no, del resto dove andrebbe a finire tutta la nostra determinazione se non si verificassero anche questioni di questo genere? Troviamo Christian Rovatti, un buon batterista ma con un’idea tutta particolare di come si entra in una band; con lui registro #3 e formo il mio attuale progetto spaccaossa, i Testadeporcu, un duo basso-batteria di cui accennavo prima.
La prima ragione per cui trovo questo lavoro soddisfacente è che nonostante vi sia stata una produzione esterna mi è stato permesso di registrare e mixare in completa autonomia senza fonici scassapalle intorno; il registratore che ho usato è il solito Fostex a nastro ed io mi sono riscoperto sempre lo stesso. Non me ne sbatte un accidente delle regole, nè degli hard disk, nè di supporti digitali. C’è chi dice che registrare con tutte le tracce in rosso sparato sia uno dei peccati più mortali che un fonico possa fare; questo forse va bene per gli studi e i fonici di Vasco Rossi o Carmen Consoli, invece il segreto della potenza è quasi tutto qui, nel registrare alto e se ti piace la distorsione altissimo.
La seconda ragione è lo spirito con cui è stato concepito #3, molto più vicino a Industrie Jazzcore che non a Nutrimi, molto più corto e sporco, un po’ meno doloroso.
Al termine di queste registrazioni Christian lascia la band. In effetti suonare in due formazioni con la stessa base ritmica e gli stessi intenti può creare un conflitto d’interessi notevole per cui abbiamo preferito continuare assieme nei Testadeporcu e lasciare il peso della batteria degli Splatter ad Ivano Zanotti, un furioso diciannovenne dalla pacca tosta e piuttosto disinvolto fra rock e musica contemporanea.
Faccio fatica a descrivere cosa mi ha mosso nello scrivere le liriche di questo cd, questa è una cosa che comincio ad intuire solo dopo un annetto di distanza dalla sua realizzazione, in realtà all’inizio non so mai di che cosa sto scrivendo esattamente, credo si tratti di un qualcosa legato alla corruzione, al sesso, al potere, alle solite cose splatter, ma non posso dirlo ancora con precisione, del resto se volete dei significati cercate di scoprirveli da soli, vi giuro che è più divertente.
C’è una cosa che sicuramente so: questo è uno degli anni peggiori per fare uscire un disco che non sia reggae, se poi il disco in questione è il nostro la rovina è assicurata.
Se volete contattarci sarei lieto di sollevare una questione: ma che cazzo ha la gente da ascoltare reggae tutte le sante sere? Gli piacerà veramente? Lo fa per noia? Per rimorchiare più studentesse? Pensa veramente che una città sporca e malata sia un’isola felice? Che un locale di cemento puzzolente possa celare una qualche spiaggia proibita? Che fumare cannoni sia ancora un atto liberatorio? In realtà di liberatorio nel reggae, specie se ascoltato dove le palme e le spiagge stanno solo su cartelloni alpitour, non c’è un cazzo. Solo una noia mortale, lo stesso pezzo riproposto per ore.
Vi faccio una domanda: avete mai osservato attentamente le facce di tutti quelli che stanno ballando reggae? Facce spente, vuote, vi si legge di tutto fuori che divertimento, semmai vi si legge l’obbligo. Ve lo dico in quanto vivendo in una città praticamente messa in ginocchio dal reggae tutto questo lo puoi constatare facilmente.
Trovandoci quasi in conclusione mi sono accorto che ho solo scritto di ciò che mi fa cagare, potrei farvi una lista lunga così della musica o delle cose che amo ma sarebbe una cosa abbastanza sterile per cui preferisco compattare tutto ciò in un solo concetto: amo tutto ciò che fa pensare ma che soprattutto non fa dimenticare.
Dedicato quindi a tutti gli amanti del reggae lancio una chicca veramente politically uncorrect: IL REGGAE FA VOMITARE E VI STANNO PIGLIANDO PER IL CULO.
Ok, con questo monito e da questo punto in poi, 15 Marzo 2001, non posso più andare avanti, il futuro lo stiamo facendo ora e dovrei avere facoltà di chiaroveggenza per potervi dire se ci sarà o no un nuovo batterista, se gli Splatter andranno avanti ancora per anni o se ci si scioglierà domani.
Non sono molto forte nelle conclusioni, ai nostri fan o a chi è arrivato fin qui sono lieto di poter affermare con certezza che sarò molto felice di non farmi vedere in giro con una band di cover per sbarcare il lunario o suonare il basso con qualche innominabile talento pop; c’è solo una band per la quale muoverei volentieri il culo e di cui farei delle cover: gli Husker Du.
Ancora adesso mi sparo Warehouse o Zen Arcade a tutto volume con le lacrime agli occhi, come un ragazzino, ed ai ragazzini voglio solo dire: non dimenticateli o andateveli a scoprire, gli Husker.
With love.
Diego D’Agata.

 

 
 
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